Nei giorni passati ho pensato più volte di saltare l’appuntamento settimanale di Parole Sparse, per evitare che il mio umore nero degli ultimi tempi influenzasse negativamente la scrittura di questo episodio.
Mi trovo in un periodo particolare, in cui avvenimenti e pensieri spiacevoli si stanno accumulando in una matassa che sento diventare sempre più pesante.
A un’interiorità già di per sé piuttosto fragile, si aggiungono le notizie dal mondo. Le immagini della guerra nella striscia di Gaza lacerano i cuori, le distruzioni ambientali a causa del cambiamento climatico diventano sempre più frequenti.
Tanto, troppo attorno a me viene rimesso in discussione ogni giorno e ormai mi sembra di calpestare un terreno sempre più instabile.
Pensadoci, però, ho deciso di proseguire nella scrittura di questo numero per oppormi a un’idea generale che mi piacerebbe sradicare: condividere le emozioni negative con gli altri non è sbagliato.
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Ce lo insegna l’arte
Spesso le cose più belle nascono da eventi drammatici o momenti bui nella vita degli esseri umani.
Leopardi, Van Gogh, i poeti maledetti, Emily Dickinson e molti altri hanno creato delle opere senza precedenti partendo dalla loro disperazione interiore.
Senza mai nascondersi.
Sarebbe bello condividere sempre e solo momenti felici, mostrarsi ogni giorno sorridenti, pieni di energia, motivati, dei modelli da seguire.
Ma sappiamo che non è reale.
Che tutti noi, in un modo o nell’altro, viviamo in un costante alternarsi di luce e ombra che ci rende quelli che siamo.
Veri.
Umani.
Noi.
Una questione di apparenze
Perché ci sentiamo sempre frenati nel condividere le nostre emozioni negative? Per l’apparenza, ovvio.
Per paura di quello che potrebbero pensare gli altri, per timore di non piacere, per vergogna.
Perché esistono sempre problemi più grandi di noi e che ci fanno sentire ridicoli nella nostra piccolezza.
Sprigionare energia positiva attira gli altri, mentre quella negativa li respinge.
E allora, quando stiamo male, preferiamo costruirci una maschera in cui sorridiamo, annuiamo, facciamo finta di ascoltare, raccontiamo solo quello che vogliamo di noi, forse ogni tanto ci infiliamo dentro anche qualche bugia per nascondere come stiamo davvero.
La gente ha timore di affrontare le debolezze altrui. È molto più semplice rifuggirne.
E, consapevoli di questo, preferiamo far finta di nulla.
Ma è davvero la risposta giusta?
No, io non credo. Ed è per questo che oggi ho deciso di scrivere lo stesso questo episodio, probabilmente non uno dei migliori di questa newsletter, ma sicuramente uno dei più sinceri.
Perché è questo quello di cui ha più bisogno il mondo.
Di sincerità.
Di persone che rimangono anche nei nostri momenti peggiori e che ci tendono una mano quando ne abbiamo più bisogno.
Di sentirci liberi di essere noi stessi, senza sensi di colpa.
Mentre scrivo queste parole sono un turbine di emozioni negative. Provo ansia per il mio futuro, avverto un malessere interiore mai provato prima e ho paura di non riuscire ad affrontare tutto con la forza e il coraggio che ci si aspetta da me.
E non me ne vergogno.
So che è un momento buio, ma so anche che passerà. Che nel buio c’è sempre la luce: un buon libro letto sotto le coperte, i primi sorrisi di mia nipote, il profumo del mare, gli abbracci del mio ragazzo, i colori dell’autunno, i viaggi in programma, la scrittura. C’è sempre qualcosa per cui essere grati e andare avanti.
Senza reprimere nulla.
Sguazzando nell’infelicità, nella tristezza, nella rabbia, nell’ansia, imparando a starci dentro, a riconoscere da dove arrivano per capire come lasciarsele alle spalle.
Dandoci la possibilità di essere vulnerabili.
Prima di andare via…
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